Convegno
Grazie Mario, solo questo mi vien da dire
post pubblicato in Roseto eclettica, il 13 aprile 2012 articolo di Ugo Centi
ROSETO. Ed al terzo appuntamento dei suoi incontri culturali, William Di Marco ha fatto davvero il colpo. Non che i primi due fossero da meno. Parlare del 151° dell’Unità d’Italia il 16 marzo e del disagio giovanile con la professoressa Celommi la settimana dopo, si era già rivelata una scelta azzeccata.
Ma l’appuntamento del 13 aprile alla sala “Piamarta” di Roseto ha avuto qualcosa di speciale. L’ospite della serata organizzata dalla “Cerchi Concentrici Promotor” era infatti Mario Giunco, anima della cultura rosetana. E per chi scrive, sentirlo è stato un regalo, o se volete un tonfo al cuore.
Giunco ha ripercorso la sua vita per la cultura. Dalla formazione classica a Pescara, conseguita con “insegnati senza paraocchi, che si adattavano alla classe come un allenatore di calcio si adatta alla sua squadra per tirarne fuori i talenti”, all’impegno tuttora in atto al servizio del Comune di Roseto. Ed in mezzo tanta curiosità e passione che io, rosetano da poco, ho percepito come una storia locale affascinante.
Dai versi di Terenzio (poeta romano del II sec. a.C.) che attiravano il giovane Giunco in quel liceo pescarese di tanti anni fa, ai libri divorati nelle colà biblioteche. Interessato da tutto ciò che di nuovo c’era nell’Italia in ebollizione sociale degli anni ’60-’70. “Non so cosa sia la cultura, ma credo che significhi testimoniare il proprio tempo”, dice oggi Giunco rimandando il pensiero a quelle iniziative culturali della Pescara di allora.
Da Pescara a Roseto, quindi, Giunco cerca di organizzare “la cultura” in una cittadina giovane di nascita, ma non priva di antecedenti storici. E cerca di farlo essendo anzitutto protagonista della nascente biblioteca civica nel 1960. Insieme ad uno degli insigni rosetani, quel Raffaele D’Ilario, che riportava i libri da Roma. Tempi di pionieri quelli, anche nell’arte e nella cultura. Ed ecco l’episodio delle anfore romane ritrovate alla foce del Vomano intrecciate ad una storia che precede anche Montepagano. Ecco Donatello D’Orazio, giornalista di vaglia del “Resto del Carlino”, che aveva conosciuto poeti del calibro di Svevo o Saba e che a Roseto era venuto a vivere.
Giunco si lega a queste ed altre personalità. Mentre nella Roseto del boom arriva la manifattura “Monti”, con quel che ne consegue nella formazione politica e sociale nonché, mai da sottovalutare, parrocchiale. Sorgono le prime associazioni culturali. Sono i tempi di Giacinto Proti, Dante Pistilli e di Maria Pia Di Nicola assessore comunale alla cultura. Son loro che avvicinano Giunco al Comune, dove lo chiamano “l’in-dipendente” pur essendone un fedelissimo funzionario: “Per me lavorare per il Comune ha voluto dire lavorare per la comunità”.
Biblioteca, dunque, con le prime rassegne stampa ante-litteram; il “Paese Sera” della pagina locale; la “Realtà nuova” delle giovani esperienze giornalistiche rosetane. La riscoperta di Pasquale Celommi; l’acquisto del suo dipinto per eccellenza, quel “Ciabattino” ritrovato a Pescara e restaurato. L’idea, insieme al giornalista Luigi Braccili, della Pinacoteca e del Museo d’arte contadina di Montepagano.
Giunco, sempre in contatto con i nomi della cultura locale e nazionale, si dedica anima e corpo a “organizzare” le manifestazioni, ovvero le condizioni materiali della cultura stessa: la Villa polo culturale, il retrostante teatro all’aperto con i sacrifici per l’acquisto di un proiettore usato da un cinema di Fabriano, i rapporti sempre fervidi con le scuole, le prime stagioni teatrali. Ci senti l’anima in questi racconti, che Giunco ti porge quasi con timidezza (e ripeto, per me e penso per i ragazzi che l’hanno ascoltano, è un regalo sentire questi frammenti d’umanità rosetana).
Capisci da queste premesse perché del bellissimo “Premio di saggistica” è diventato quello che è diventato a livello nazionale e non solo. Perché uomini come Luciano Canfora e tanti attori, scrittori, artisti, hanno calcato questo Lido che non è certo Roma o Milano. Perché sempre, nelle manifestazioni culturali rosetane, si è cercato di sorreggere un filo logico che le tenesse assieme. “Non ho fatto altro se non testimoniare me stesso” ha concluso Giunco rimembrato l’amato Giacomo Leopardi e forse non accorgendosi (o magari sì, non so) di usare spesso verbi al passato.
Già, perché quella Roseto con l’anima che Giunco rappresenta senza dirlo, con la modestia che solo i veri colti si possono permettere; quella Roseto che, assai più modestamente, anch’io scoprii d’istinto nel 2009-2010; quella Città così aperta e solidale, insomma quella Città si stenta a riconoscerla in certi risentimenti personalistici, in taluni rancorosi discorsi ed anche in certe volgarità politiche-istituzionali dell’ultim’ora. Ma questo, ovvio, non l’ha detto Giunco: l’ho aggiunto io. Con rammarico. Sperando che la prima Roseto prevalga su quest’ultima. Ma questo, è ovvio, è in parte un altro discorso.